Lorenzo Paneri (Lencin)  classe 1905

 

Ero un ragazzino piccolo e magro di quattordici anni quando sono stato assunto come mozzo da un padrone marittimo venuto a Laigueglia per ingaggiare marinai per il suo barco.

La nonna mi ha preparato il fagotto con un fazzoletto grande;” a mandiò d’a spesa”; ci ho messo dentro un po’ di biancheria, un paio di “savattine” e le scarpe coi chiodi che a bordo me li hanno fatti levare subito.

Ho preso il treno per Oneglia, ma siccome ero senza biglietto mi sono chiuso nel gabinetto finchè ho sentito gridare “Oneglia”. Poi ho chiesto a uno dov’era Porto Maurizio: - Vai sempre dritto che lo trovi! – Così ho fatto. Era l’Aprile del 1919. In porto c’erano parecchi bastimenti fermi a causa della guerra e tra i marinai che aggiustavano le vele ho riconosciuto il comandante che era venuto a Laigueglia.

-         Sono il mozzo- gli ho detto. – Ah sei tu quel piccolino che era sul molo? Vieni, vieni! – Così sono salito sul bastimento “Rosa”, di duecento tonnellate.

 

-         Come l’hanno accolta i marinai?

 

Mi hanno preso subito a benvolere, soprattutto il cuoco che era il più vecchio e che chiamavano “papà”. E’ stato lui ad accompagnarmi sotto prua, dove dormiva la ciurma e a assegnarmi la cuccetta, un materasso e il cuscino di alghe che puzzavano.

.Siamo salpati all’alba, approfittando del vento di Ponente, diretti a Gallipoli a caricar vino.

Alle Bocche di Bonifacio, siccome c’era un pò di bonaccia, i marinai hanno dovuto usare i remi per spingere fuori il barco. A un miglio dalle Bocche abbiamo pescato un tonno ed abbiamo fatto la focaccia. Si faceva il tonno a pezzetti, li mischiavamo col sale e li mettevamo dentro una federa schiacciandoli bene; per tenerli in forma abbiamo messo due tavolette ai lati ed un peso sopra, ed era pronta “A Figassa du Tunnu”, una bontà.

 

-         Cosa altro mangiavate in navigazione?

 

-         Carne sotto sale, stoccafisso, baccalà, patate, fagioli e gallette. Qualche volta il cuoco riusciva a fare un po’ di pane fresco, ma solo quando il mare era calmo perché la cucina era all’aperto, in una specie di garitta messa sul ponte di prua e con gli spruzzi delle onde il fuoco si spegneva e addio pane!

 

-         Lei era un ragazzino vissuto sempre a Laigueglia. Su quel barco, tra uomini sconosciuti, ha avuto qualche momento di malinconia, di paura? Ha mai pianto?

 

- Na. Sin da piccolino stavo ore ed ore sul molo con mio padre e coi miei nonni, marinai di “malafora”, a sentirli raccontare di tempeste, naufragi, avventure…Ero già preparato, perciò non ho mai avuto paura, né ho pianto.

Ma anche a me ne è successo una bella. Sopra Trapani, “papa” mi sveglia di notte. – “Vegni peccenin, vegni a veghe!”- Sono salito su ancora addormentato e ho visto tante isole, piccole e vicine e la nave sembrava sbattergli addosso –“ Quante isuette”- ho esclamato. E “papà” e i marinai sono scoppiati a ridere. – “Ma na, peccenin, guarda ben”- E infatti osservando bene, mi sono accorto, che non erano ne scogli ne isole,ma le ombre delle vele sul mare calmo perchè in cielo “U gh’ea na luna tunda e luminusa”. Dopo questo scherzo della luna, siamo arrivati a Gallipoli e abbiamo caricato le botti di vino buono dell Puglie che al “vegiu” piaceva e come! E spesso si”s’inbriacava” Nel viaggio di ritorno “Bordesando” la Calabria, siccome è venuto un forte vento di Libeccio, abbiamo dovuto abbassare le vele alte per attraversare lo stretto di Messina.

 

-         Anche lei aiutava a Governare le vele?

-          

-         Na, io di solito ramazzavo, pulivo la cabina del padrone, pelavo patate.

Qualche volta, quando il tempo era bello, mi hanno fatto salire sugli alberi della nave e lassù mi sembrava di essere il padrone del mondo. Un giorno che siamo rimasti senza legna per cucinare, “papà” mi ha mandato a “fregare” le ceste di vimini ai pescatori della costa, ma solo quelle rotte… senò non si mangiava. Dopo siamo arrivati a Porto Maurizio, abbiamo scaricato il bastimento e poi sono tornato a casa e ho raccontato a mio papà lo scherzo della luna..E da quel giorno ho sempre navigato.

 

Per quarantanni Lencin vedrà splendere la luna sui mari di tutti i continenti, ma non dimenticherà mai quella notte d’aprile del 1919 quando il Peccenin che iniziava allora la dura vita sul mare, s’accorse con stupore che nel cielo “ U gh’ea a luna cina, a ciù tunda e luminusa” che avesse mai visto.

Proprio all'inizio del molo, sulla scaletta che conduce alla spiaggia crsce una pianta che oggi ci appare insignificante

ma invece ha una grande storia,  eccola:

 

Crithmum maritimum

 

STORIA

Come altre specie non velenose delle Ombrellifere, questa pianta conosciuta dagli antichi venne un tempo considerata dagli erboristi idonea per aiutare la digestione e come curativa contro i calcoli renali; le si attribuivano virtù aperitiva, diuretica, emmenagoga, deostruente e litontrittica. In altri tempi la pianta era utilizzata per ricavarne la soda. La fitoterapia di un tempo ha utilizzato le foglie carnose, spesse e lucenti, del finocchio di mare le quali, consumate crude, offrivano il meglio delle loro proprietà aperitive, toniche e antiscorbutiche.
Il Crithmum maritimum se non ebbe grande fortuna come pianta medicinale, fu invece trapiantato negli orti per tentarne la coltivazione allo scopo di raccoglierne i germogli e le foglie più tenere per essere impiegati nell'alimentazione umana quale condimento consumato fresco o conservato sotto aceto alla pari dei capperi, o come verdura cotta. Nel XVI secolo le foglie carnose e i piccioli di questa pianta venivano raccolti e mangiati dopo essere stati cucinati come gli asparagi, tanto in insalate quanto in salse aromatiche e piccanti; tritate, nelle insalate, le minestre d'erbe, cotte nel burro come guarnizione a piatti di carne; le foglie erano anche conservate sotto aceto. Dioscoride nel Libro II, al capitolo 118, parla del Crithmo o Crithamo descrivendo la pianta e le sue proprietà: "la radice i semi e le foglie cucinate nel vino e bevute sono utili nella ritenzione di urina, nell'itterizia e provocano il mestruo.".
William Turner ci ricorda come la pianta fosse nota fra i suoi predecessori e naturalisti contemporanei come Creta marina. Ai tempi di Gerarde la pianta aveva grande reputazione come condimento. John Gerarde la definì "di gradevole profumo, delicato e delizioso al palato, benché di sapore che molti giudicano salato" essendo le sue foglie, già sin da allora, consumate come insalate.  Condite con olio ed aceto se ne ottiene una salsa dal gradevole sapore, molto utile per attivare e facilitare la digestione delle carni. Anche Shakespeare ce ne ricorda l'uso, pur essendo improbabile che egli conoscesse gli scritti del Turner e del Gerarde. Troviamo infatti autorevole citazione del Critmo nel Re Lear, (IV. vi 15) dove il grande poeta, riferendosi alla gente che si guadagnava pericolosamente da vivere raccogliendo l'erba di San Pietro dai dirupi più scoscesi delle bianche scogliere di Dover, così scriveva: "Half-way down Hangs one that gathers samphire; dreadful trade! (A metà strada cade colui che raccoglie l'erba di San Pietro, lavoro terribile!)." Da ricordare infine che il Bromfield riferisce di un tributo corrisposto al castellano di Freshwater per avere la privilegiata concessione di raccogliere (ovviamente a rischio e personale pericolo del concessionario) la pianta che cresceva spontaneamente in abbondanza sui muri del suo maniero.
Secondo Bosc (1821) le popolazioni rivierasche del Mediterraneo ne facevano commercio perché i marinai e i naviganti che si avventuravano in lunghe traversate le portavano a bordo, utilizzandole come valido antiscorbutico, apprezzandone molto le foglie, un poco amare e salate, però molto gustose e digestive.
La pianta è ancora ricercata in certe contrade per la preparazione di un aceto aromatico molto apprezzato. L'intenso sfruttamento commerciale aveva raggiunto nel secolo scorso una tale diffusione che molti naturalisti ne denunciarono la progressiva scomparsa da alcune zone rivierasche, causata dall'indiscriminata raccolta a opera delle popolazioni locali. Thore, nel 1803 scriveva: "Sta diventando ogni giorno più raro, perché gli abitanti delle rive marine lo mangiano dopo averlo messo in aceto."
La Chambers's Encyclopaedia così considera la pianta: "Samphire makes one of the best of pickles, and is also used in salads. It has a piquant, aromatic taste, and is considered very diuretic."
Essa è un'ombrellifera che si comporta come una pianta desertica, ma vive sul mare e resiste alla salsedine e alle calure estive.

 


CURIOSITÀ

Famosa pianta antiscorbutica che i naviganti di altri tempi apprezzavano per le sue proprietà curative e preventive. Il nome volgare di Erba di San Pietro che il Critmo condivide con un'altra pianta che nulla ha a che fare con il finocchio marino, si spiega ricordando che San Pietro è il santo patrono dei pescatori e che questa pianta predilige gli ambienti di mare, soprattutto le rocce soleggiate e gli spruzzi salmastri del clima marino.

 

I Santi di Catainolla

L'antico paese, attraversato dalla vecchia strada romana,si estendeva dalle case di Marchiano vicino al Roccà fino al pnte di Bertumia e di là oltre alla cappella della Madonna del Carmine. In questa antica strada, vicino a Piazza Gambone, esisteva una casa piccola e rozza, di un solo piano e stanze piccolissime, assai basse. Sulla facciata di essa vi erano dipinti sul muro una Madonna ed alcuni Santi ed in una iscrizione sbiadita si leggeva:

 Bernardo...A 2° figlia sua Caterina 1529

11 Juli a 9

Il volgo chiamava queste pitture i Santi di Catainolla.